lunedì 29 dicembre 2014

L'agnello di Dio, che toglie i peccatori dal mondo...

Ben presto ci accorgemmo (o meglio, fu Toro Scatenato a dichiararlo, sostenendo che glielo aveva detto un uccellino) di essere pedinati sia da un nutrito gruppo di sudisti – almeno una dozzina -, guidati da un indiano, sia da alcuni di quegli infedeli neri come il peccato, i quali si tenevano nascosti nella boscaglia. Non appena arrivammo in una zona montuosa, anche considerato il fatto che il nostro vantaggio si assottigliava, ci disponemmo ad un'imboscata. Simulammo di esserci accampati, lasciando i manichini e il ferito Doc attorno al fuoco, mentre noi ci nascondemmo nella boscaglia in modo da tenere sotto tiro la pista. Disgraziatamente, non appena l'indiano alla guida dei sudisti vide l'accampamento, il gruppo si fece più guardingo, e il comandante Lomax, che conduceva il drappello, lo divise addirittura in tre: cinque salirono verso il luogo dove io mi ero appostato, sotto la scorta del gigantesco indiano; tre proseguirono lungo la pista; altri cinque procedettero fra la boscaglia più lontana da noi. Giunti quasi all'accampamento, l'indiano si avvide dell'inganno, fece appena in tempo a urlare che si trattava di una trappola prima di essere falciato dalla precisa pistolettata del pur ferito Doc, mentre le fucilate di Bret sistemavano gli altri due. Nel contempo, io feci risuonare alta la Voce dell'Agnello di Dio, ossia della mia Gatling, riuscendo subito a redimere con la morte tre dei peccatori che ci stavano inseguendo, mentre gli altri due si rifugiarono sotto un masso. La situazione sarebbe stata tranquilla, se improvvisamente non fossi stato colpito alla mano da una stella di ferro, piccola ma dolorosissima, scagliata da uno di quei diavoli neri mascherati, spuntati dal folto degli alberi. Per fortuna, Toro Scatenato si lanciò come un ossesso sugli infedeli, uccidendone uno sul colpo e ingaggiando un duello all'arma bianca con il secondo, che lo avrebbe tenuto impegnato ancora per un po', ma che poi avrebbe vinto. Intanto, il mio Agnello ebbe modo di redimere un altro peccatore.

mercoledì 24 dicembre 2014

Le vie del signore sono finite, sopratutto a Natale.

Avevamo appena accolto, con lo spirito cristiano che sempre guida ed illumina la nostra strada più luminoso del più luminoso lampione nella nera notte, il povero sventurato scienziato John, che si era rivolto piangente a noi, rappresentanti della Chiesa (eccetera), quando ogni speranza di salvezza terrena gli appariva vana: un gruppo di malvagi, vestiti da sudisti, aveva appena menato strage degli uomini governativi ai quali lo avevamo da poco affidato, e ora era terrorizzato da costoro come dagli infedeli orientali che avevano barbaramente trucidato il suo amico e collega. Avevamo appena accolto questa pecorella, dicevo, quando udimmo un concitato bussare alla porta: era una peccatrice.
Più precisamente, si trattava di Virginia, la prosperosa signora che aveva facilmente indotto in tentazione il nostro non riluttante ex US Marshal, che si era concesso al peccaminoso abbraccio senza remore e senza sospettare che la diabolica mente femminile, istruita dal demonio, stava in realtà sfruttando la sua lascivia per perseguire i suoi scopi. La donna, infatti, si rivelò subito come agente dell'agenzia paragovernativa Magister 12, portando a riprova un documento firmato in autentico dal fu Presidente Lincoln. Ci disse che tale agenzia perseguiva obiettivi simili ai nostri, in quanto anch'essa lottava per evitare che i progetti delle devastanti armi elaborate da una rete di scienziati finissero nelle mani sbagliate – anche se era legittimo dubitare che le loro non fossero mani sbagliate, dato che si trattava di un'accolita di senza Dio, guidata da un pugno di individui privi della fede in Nostro Signore perché abbagliati dell'idolo della scienza; uomini del calibro di Tesla ed Edison, che vorrebbero sostituire la luce della fede con quella di una lampadina elettrica.
Nonostante avessi protestato i miei dubbi, tutti gli altri, indotti dal duplice peccato di lussuria e avarizia, accettarono di allearsi con questi misteriosi Magister 12, ed io decisi di adeguarmi, ben sapendo che è dovere del buon uomo di Chiesa andare là ove si annida il peccato: forse Nostro Signore Gesù non ci ammoniva che non sono i malati, e non i sani, ad avere bisogno dei medici? Il primo ordine della procace agente fu quella di dividerci: coloro che erano a suo avviso necessari alla causa, ossia il Marshal, l'ateo Lombroso e lo scienziato che avevamo raccolto, sarebbero stati spostati in gran segreto in una specie di villa nel Nevada, nella quale già si trovavano i sedicenti Magister 12; noi, umili servi nella vigna del Signore, avremmo invece dovuto raggiungere il luogo a cavallo, attirando dietro di noi eventuali sudisti fuori tempo massimo o infedeli del Sol Levante, e possibilmente menarne strage lontano da ogni centro abitato. Per rendere credibile l'inganno, partimmo con il favore delle tenebre portando in sella alcuni manichini abbigliati come i nostri compagni che viaggiavano comodamente e segretamente in carrozza.

domenica 21 dicembre 2014

"Adoro i piani ben riusciti"

Arriviamo preparati davanti il Green Star a poche ore dall’incontro, ma una volta dentro il piano capitola immediatamente, non sono intenzionati a far salire me e Mc Clintoc scortati, così Carter decide di tornare indietro e prendere tempo, purtroppo al nostro ritorno in hotel, quel che troviamo ha dell’incredibile, Toro gravemente ferito, Watson morto e aggiungiamo che Doc non ha ancora fatto ritorno. L’indiano ci racconta di essere stato attaccato da strani uomini in tute rosse, agili e competenti nell’uso delle armi da taglio, la morte dello scienziato lo ha colpito nell’onore. Riusciamo a riprenderci velocemente da tutti gli eventi per via della rabbia dovuta all’attacco, cosa c’entrano gli asiatici? C’è Turbol dietro i sabotaggi? E’ venuto il momento di tornare all’hotel e giocare a carte scoperte. Il Green Star è nel panico, gli ospiti fuggono e gli inservienti sono nell’agitazione, è accaduto qualcosa nella stanza ventitré, ma prima di poterci informare sull’accaduto, si ripresentano gli uomini della Pinkerton, sostenendo di essere in supporto al governo e di essere qui per prendere in consegna gli scienziati, purtroppo ora che Carter è ricercato non possiamo calcare la mano, anzi scopriamo che anche Brett nasconde qualcosa dato che anch’egli e tra i ricercati dal governo, così io e Mc Clintoc siamo portati dallo sceriffo. Calo così la maschera e sostenendo di essere in missione per conto di mio zio, riesco uscirne per riunirmi ai miei compagni, purtroppo lasciando lo scienziato nelle loro mani. Siamo ancora una volta in hotel, dove ritrovo Doc gravemente ferito, probamente dagli asiatici; ci troviamo così totalmente sconfitti dagli eventi. Il silenzio viene interrotto dall’improvvisa comparsa di Mc Clintoc alla nostra porta, egli sostiene di essere miracolosamente scampato ad un attacco degli uomini in rosso dove hanno perso la vita gli uomini della Pinkerton, e di essere ancora una vittima in quanto possiede alcuni schemi di armi che non sono ancora in mani sbagliate. Ma come evitare che la situazione peggiori? L’idea questa volta arriva da un piccolo indizio, un giornale in stanza col titolo “ambasciatore giapponese in visita San Francisco”, il destino? Una coincidenza? Lo spunto per la vendetta? Forse, fatto sta che arrivati a San Francisco potremmo mettere sotto la vista di tutti gli schemi dei lavori di Watson e Mc Clintoc, per proteggerli, magari pubblicare la notizia. Un nome spunta sulle labbra di alcuni di noi: “Mark Twain”.

lunedì 8 dicembre 2014

Camuffarsi...

Qualche ora dopo Carter ritorna con poche informazioni nuove se non che nessun minatore sospetto e stato visto nei pressi del telegrafo, e ciò ancora una volta illumina la mia mente, rimembro infatti che, è fortemente plausibile che il nostro minatore fosse non solo camuffato, ma nemmeno americano, anzi di origine asiatica. Dopo le ultime rivelazioni l’idea migliore è di riposare le poche ore che ci separano dal mattino e dalla ripartenza, per potere analizzare quanto accaduto a mente lucida.
Fallon City, Luglio, 26, 1880. Svegli e relativamente riposati, arriviamo in stazione di buon mattino con gli occhi aperti per possibili sospetti, in special modo asiatici. Saltano però subito alla nostra attenzione, degli inviati della Pinkerton, una sottospecie di associazione privata al soldo del governo per missioni “sporche”, c’entrano anche loro in questa storia? Non troviamo risposta a questa domanda e nemmeno traccia di asiatici, così non ci rimane altro che partire alla volta di Austin, in un viaggio decisamente più tranquilla della volta precedente. Arrivati in città ci affrettiamo a trovare un riparo provvisorio, in un hotel distante dal Green Star, per studiare un piano d’azione. Siamo per una volta tutti d’accordo che la situazione è compromessa, è scontato infatti che i sabotatori, chiunque essi siano, sono già pronti a tenderci una trappola, consideriamo quindi un primo sopralluogo all’hotel, a cui parteciperò in prima persona insieme a Carter, Brett e l’inutile reverendo, mentre Toro e Doc proteggeranno gli scienziati. Il Green Star è un hotel di lusso, ma si mostra subito come un luogo adatto a trappole dato il gran numero di ospiti e le molte entrate e uscite. Otteniamo poche informazioni ma fondamentali, gli emissari del governo infatti hanno riservato un intero piano per l’incontro con gli scienziati, e i locali sono interdetti a chiunque. Tornati alla stanza con le novità, i pareri su come agire sono contrastanti, così mostro nuovamente di saper essere pedina fondamentale del gruppo con un idea: camuffarmi da Watson per infiltrarmi all’interno dell’hotel e poter aver maggior controllo sulla situazione. I miei compagni non conviti accettano perché in fondo è l’unica idea che abbiamo, così Carter, Brett, Johnson ed io andremo in Hotel, Doc sarà fuori di supporto e Toro continuerà a tenere d’occhio Watson di cui ho magistralmente preso le sembianze.

domenica 30 novembre 2014

Dettagli

Dopo le forzate presentazioni, il soldato si presenta col nome di Lowell e quasi sbeffeggiandoci, ci comunica che ha l’ordine di portarci dal suo capitano in quanto hanno giustappunto una comunicazione per Carter. A differenza del suo tenente, il capitano Johnson è più rispettoso, ma non di meno porta cattive notizie. Il comandante del plotone porta infatti l’ordine di comunicare a Carter la revoca del suo stato di Marshall, nonché una sequela di false a suo carico, addirittura il mio presunto rapimento. Johnson per rispetto all’anzianità di servizio di Carter chiuderà un occhio sul nostro incontro, ma ci invita ad allontanarci senza ulteriori spiegazioni. Prima di risalire sul treno, i due scienziati decidono di metterci al corrente di alcuni dei loro sospetti sui loro inseguitori, che potrebbero essere dietro l’attacco al treno. Essi ci confidano di lavorare per il governo e riconoscono un uso distorto delle tecnologie su nuove forme d’energia a cui loro stanno lavorando. Sorvolando sulla mia curiosità sul loro lavoro, diventa necessario una fermata col treno alla vicina Fallon, per permettere a Mc Clintoc e Watson, di contattare il loro referente al governo e per me e Carter ricercare risposte ai piani alti dell’amministrazione per fare luce sulla sua revoca. Arrivati a Fallon la situazione è tesa, ci dividiamo subito per gestire il contatto e la ricerca di un luogo per la notte. L’ormai ex capitano ed io, scortiamo gli scienziati al telegrafo per poter anche noi cercar di domandare ai nostri contatti cosa accade ai piani alti. Dopo che tutti abbiamo spedito i nostri telegrammi ecco arrivare stranamente in maniera celere le prime risposte. Mc Clintoc e Watson ricevono risposta in pochi minuti, comunicazione che fissa l’appuntamento alla stanza ventitré del Green Star Hotel di Austin; dopo circa un’oretta, arriva la comunicazione dello zio che, in maniera lapidaria altro non presenta se non:” Ho le mani legate”, che starà accadendo al governo? La situazione è strana infatti a Carter non arrivano risposte di sorta. Ci ritroviamo così in albergo con gli altri per fare il punto della situazione ancora una volta, ed è proprio in quel momento che Watson scopre di aver perso i dettagli dell’incontro, tale imprevisto fa scattare in me un flash del momento in cui plausibilmente i dettagli sono stati, sottratti e non smarriti. Infatti ricordiamo che lo scienziato è stato quasi spintonato da un uomo vestito da minatore all’uscita del telegrafo. Facendo mente locale è probabile che sia stato proprio lui l’autore del furto, non faccio in tempo a concludere le mie analisi, che Carter esce furioso alla ricerca del colpevole.

sabato 22 novembre 2014

Quel treno per...

Ruper City, Luglio, 25, 1880. La notte scorre abbastanza tranquilla, riusciamo così a svegliarci di buon’ora per dirigerci alla stazione. Durante il tragitto siamo accompagnati dal corteo funebre delle vittime della sparatoria, la situazione in città è surreale e andarcene via il più velocemente possibile, sembra sicuramente la soluzione migliore. Ecco così che troviamo il treno ad attenderci, un sei vagoni, saldo e robusto, pronto al viaggio. Ci accomodiamo per quello che dovrebbe essere un viaggio tranquillo verso Austin, infatti i miei compagni decidono di rilassarsi ognuno a modo loro: Doc continua a dormire; Toro sostiene che sia più pratico meditare sopra il treno; Brett si avvicina alla compagnia di un signora sul treno; mentre Carter, stranamente, decide di accettare le attenzioni di una, sicuramente altolocata, donna che si era presentata insieme alla compagna di Brett; il tutto mentre io decido di accomodarmi nella zona più tranquilla del vagone per cercare di scrivere e riflettere sugli ultimi avvenimenti ma, sfortunatamente il dannato prete, ha deciso di impedirmi qualsivoglia forma di studio, intonando stupidi canti ad alta voce. Fortunatamente per me il treno ha una brusca frenata e dall’aria Truce di Toro che si ripresenta nel treno capiamo che fuori è successo qualcosa. Lo spettacolo che si presenta a poca distanza è particolare: un altro treno che ci precedeva sul binario, è fermo, uno dei vagoni distrutto con un enorme cratere fumante, tutt’intorno soldati e quindi guai. Mentre cerchiamo di osservare quanto accaduto, si avvicina a noi uno dei tenenti del plotone, che con fare poco garbato quasi sembra voglia cacciarci. 

domenica 16 novembre 2014

Quando un uomo con la pistola o il fucile, incontra un uomo col la gatling, l'uomo con la pistola o il fucile è un uomo morto!!!

Quanto segue mi è stato riferito in quanto non sono stato presente e la situazione comunque non è tra le più chiare. Durante la discussione per le armi, inaspettatamente si presentano al saloon dei soldati che si identificano come uomini del maggiore Cartridge, vice di Turbol, domandando spiegazioni per i soldati uccisi davanti lo stabilimento del carbone. La discussione degenera in pochi minuti, e finisce in altrettanto pochi minuti, quando il reverendo Jackson decide di mostrare che forse non è uno sciocco, mostrando che la sua pesante croce altro non è che una gatling gun ben armata. La conta dello scambio di opinioni fra il nostro gruppo e il piccolo drappello di sudisti è di otto morti e un isolato distrutto dall’arma di Jackson, al suo arrivo lo sceriffo è incredulo.


Alla fine entriamo nel saloon per rilassarci dopo lo spiacevole equivoco, siamo così avvicinati da due distinti gentiluomini, che si presentano come Watson e Mc Clintoc, due scienziati in cerca di una scorta. I due studiosi ci raccontano di essere in viaggio e di temere per le loro vite, ma dopo la prova di forza al di fuori del locale, sono intenzionati a comprare i nostri servigi per protezione fino ad Austin. Il capitano sicuramente toccato più dalla loro storia che dal premio in denaro decide di accettare, senza troppe domande, subito dopo aver incassato l’anticipo per il viaggio. 

mercoledì 12 novembre 2014

Il passato che ritorna

A svelare l’identità dell’uomo ben vestito sono proprio, riconoscendolo come uno dei professori del circolo universitario americano, famoso per i suoi studi a stretto contatto con l’esercito. Mentre mille domande vengono ad aggiungersi alla più scontata sul perché si trovino qui e in questo stato, a distrarci intervengono dei colpi di pistola da dietro una collina. Dato che i sudisti di Turbol potrebbero trovarsi nelle vicinanze e magari attaccarci decidiamo con cautela di investigare su quanto sta accadendo e infatti troviamo sudisti sì, ma intenti di un altro scontro a fuoco. La miglior mossa che viene in mente al gruppo è di fermare lo scontro per capire cosa accade, sono presenti tre soldati sudisti con un cadavere su un cavallo e altri tre, forse operai, ribattere al fuoco dalle vicinanze di un impianto per il trattamento del carbone. Doc finalmente si sveglia e il suo aiuto è fondamentale per risolvere la questione azzittendo per sempre in pochi colpi i sudisti e così ancora una volta posso mostrare le mie abilità interrogando gli italiani. Ci raccontano non senza qualche difficoltà che i soldati sono comparsi accusandoli senza alcun motivo apparente di aver assassinato il loro amico e che non era la prima volta che accadeva una cosa simile. La situazione si fa sempre meno chiara, decidiamo così di avviarci alla vicina Ruper City per riposo e fare il punto della situazione, unico appunto Brett ci fa presente che non ha intenzione di farsi vedere troppo dallo sceriffo, immagino subito abbia problemi con la legge, ma se Carter si fida di lui è sottinteso che dovremmo farlo anche noi. Ruper City è una città di non grosse dimensioni ma molto vitale, è la nostra prima tappa è come al solito il saloon per sistemarci per la notte. Ognuno però entra in città con diverse aspettative, Brett sembra proprio essere un giocatore d’azzardo intenzionato a far fruttare i suoi dollari, Doc come sempre intenzionato a bere, Jackson a trovare una sistemazione per la sua inutile croce mentre gli proprio riposare. Veniamo però spiazzati alla richiesta di consegna delle armi all’ingresso del saloon, secondo le direttive dello sceriffo per evitare problemi all’interno. Brett ed io siamo ansiosi di entrare, in particolare per la continuazione dei miei studi sociali sulle personalità femminili locali, così consegniamo le armi e entriamo.

sabato 8 novembre 2014

Le vie del Signore sono... finite

 Il Signore, nella sua infinita sapienza, sa di per certo quello che fa: ne sono profondamente convinto, perfino quando le Sue decisioni sono imperscrutabili come quando mi ha posto sulla strada dello US Marshall Carter e della sua eticamente discutibile cricca, composta da un peccatore, un miscredente razionalista e un pagano.
Stavo vagando, con il mio compare di viaggio Bret, là dove ci conducevano i cavalli, nella consapevolezza che non c'è contrada che non abbisogni della Parola del Signore, ed io sono pronto a portarla, con le buone o con le cattive. In fondo, anche Carlo Magno massacrò migliaia di Sassoni pagani impenitenti al pio fine di convertire i superstiti, e ancora dobbiamo rendere grazie a tale opera meritoria. I miei strumenti non dovranno essere da meno. In attesa della conversione, del resto, è Bret a occuparsi del punire i peccatori, spennandoli al gioco d'azzardo.
Incontrammo così, per caso, un composito gruppo che pareva ben altro da una squadra di tutori della legge, ma piuttosto una sorta di accolita di vagabondi. Mi sarei limitato a concedere loro qualche biblico ammaestramento, ma Bret si lanciò praticamente fra le braccia del meno indecoroso dei viandanti, dal contegno nobile: erano stati commilitoni durante la guerra di Secessione. Carter, questo il nome del tale, che una stella rivelava come US Marshall, lo invitò ad aggregarsi al suo gruppo, ed io non ebbi nulla da ridire. Mi sembravano tutti molto bisognosi di una giuda spirituale: il gigantesco indiano Toro Scatenato che asserisce di comunicare con gli Spiriti, ma nemmeno sembra sapere della venuta del Messia; il folle Lombroso, che ripone scioccamente più fiducia nella scienza moderna che nei testi dettati da Dio in persona alcuni millenni fa; il peccatore Doc, pistolero alcolizzato, che viaggia su una sorta di branda che lascia trascinare dal suo cavallo, a simboleggiare come siano gli istinti bestiali, e non la Fede né il raziocinio, a guidarlo.
Forse Egli vuole mettermi alla prova, o forse vuole concedermi la possibilità di convertire una siffatta turba, oppure ancora Egli vuole, pure attraverso il male, operare il bene, a Sua maggior gloria.

Io, non posso che rimettermi alla Sua volontà.  

domenica 2 novembre 2014

Due non troppo nuove conoscenze

In direzione della Virginia, Luglio, 24, 1880. Anche un semplice viaggio da una città all’altra può per noi diventare fonte di inattesi quanto imprevisti eventi. Mentre cavalcavo vicino i miei fidi compagni, l’attenzione di noi tutti viene indirizzata verso due pittoreschi individui che “discutevano” a fianco del sentiero con una carrettino che non voleva saperne di muoversi. Diventa scontato avvicinarsi e scoprire se si tratta di semplici viaggiatori o altro, mentre stavo riflettendo su questa possibilità, noto che Carter e gli altri stanno già parlando con loro. A presentarli è proprio il capitano, infatti uno dei due è un suo vecchio commilitone, Brett Maverick mentre l’altro, ehm… il reverendo Jackson. Il soldato si presenta subito come una persona seria e ordinata, come si confà al suo status, mentre il reverendo da subito l’aria di essere con la testa fra le nuvole come è normale per chi è solito parlare con amici immaginari. I due ci raccontano che il carretto, che trasporta la grossa croce del reverendo si è incagliato in una roccia e li ha rallentati, mentre cercavano di raggiungere la vicina Ruper City. Forse non tutti completamente d’accordo decidiamo di viaggiare insieme verso la vicina città, per riposo e provviste, il tutto mentre Doc dorme dall’ultima città visitata. Durante il tragitto notiamo che Toro ha uno dei suoi classici colpi di calore, dopo i quali afferma di vedere cose, in cui devo ammettere, spesso indovina i fatti, ma questa volta è più turbato del solito. Quasi comparendo dal nulla da dietro un altura un gigantesco albero oscura la nostra vista con una visione terribile. Ai rami dell’arbusto infatti sono stati infatti impiccati cinque uomini, la visione è resa ancor più raccapricciante quando ci rendiamo conto che probabilmente erano già morti a causa di molteplici segni di tortura e soprattutto è già evidente l’amputazione delle mani. Sia io che il reverendo siamo molto interessati a tirare giù quei pover uomini, io per un analisi più approfondita e lui per qualche sciocca funzione; Brett e Carter alla vista, o meglio alla non vista, della mani cominciano a discutere animatamente fra loro; Toro sembra altrettanto colpito sostenendo che si tratta proprio della sua visione e parlando di un fantomatico serpente di metallo; infine Doc continua a dormire beatamente. Osserviamo i cadaveri si tratta di quattro soldati più un individuo vestito in maniera elegante, Carter e Brett svelano parte dell’arcano, sostenendo che probabilmente tutto ciò è opera del colonnello Turbol, personaggio con cui loro hanno avuto a che fare durante la guerra, si tratta infatti di un sadico comandante sudista che aveva proprio la curiosa abitudine di punire in questa maniera i sottoposti, e ciò spiega i soldati.

domenica 26 ottobre 2014

Finale e perplessità...

Il castillo, Luglio, 22, 1880. Ci ricongiungiamo con il maggiore Variera davanti alla fortezza, osservando l’artiglieria che l’esercito ha portato con se intuisco che la battaglia sarà breve, aggiorniamo il comandante e lui dopo essersi congratulato con noi, si offre di farci partecipare attivamente. Ogni speranza di accordo pacifico decade quando uno degli indios colpisce l’uomo con la bandiera bianca, questo si rivela una fortuna e Carter ha l’occasione di vendicare la sua gamba. In pochi minuti la fortezza è caduta e gli uomini di Tulac cercano di sfollare come meglio possono. Mentre i soldati li atterrano uno per uno, urlano e scalciano, riuscendo a capire solo “Tulac è morto, fuggiamo.” Infatti troviamo il loro capo suicida, nell’immensa sala del trono della fortezza, luogo imponente e magnifico, che però non presente alcuna traccia di Mescal, che a quanto pare è fuggito insieme alla gran parte delle informazioni di quanto accadeva qui. Ci salutiamo così con rispetto dal maggiore Variera che si è rivelato d’onore e grande alleato. La strada per l’America scorre in fretta, con una piccola tappa presso Al Cisbani per ringraziarlo del prezioso aiuto e assicurargli che potrà dormire sonni tranquilli. Si conclude così anche quest’avventura piena di violenza e ambizioni, ma so per certo che la vera missione non è ancora finita, Mescal è sicuramente alleato di qualche forza maggiore? Dove avrebbe attaccato Tulac? Questi e altri dubbi affollano i miei pensieri mentre attraversiamo il confine.

Difesa disperata

Sono momenti concitati, ma mettere in difficoltà quell’uomo è relativamente semplice ed egli per non lasciarsi catturare preferisce morire nel suo stesso enorme calderone. La sfida è vinta, ma questa volta il prezzo è ancora più alto, il capitano Carter è rimasto infatti ferito ad un gamba con un dardo, immediatamente grazie alle mie conoscenze di medicina riesco purtroppo a salvargli solo la vita, ma non la gamba. La nostra attenzione è richiamata dagli spari in alto che lasciano poco tempo per preoccuparci delle nostri condizioni di salute, corriamo verso l’alto e Doc è impegnato in un altro scontro a fuoco. La battaglia è convulsa provo a essere d’aiuto più che posso, sia io che l’aquila di Toro, riusciamo a essere poco utili, e la situazione è dura, finché non riesco a scorgere che altri uomini che compaiono dietro di noi dalle caverne, che ci sia un altro ingresso? Dobbiamo scoprirlo. Ancora una volta in battaglia, viene provato il valore del nostro gruppo, stiamo quasi per avere la meglio, quando lo scontro si interrompe al suono della tromba della cavalleria che viene in nostro soccorso, è un distaccamento del maggiore, che dopo aver messo in fuga i banditi si offre di scortarci al castillo.

domenica 19 ottobre 2014

Dentro la montagna

La valle dei giganti, Luglio, 21, 1880. 
Poco dopo l’inizio del mio turno di guarda scorgo tra i fumi, quello che sembra essere un uomo vestito in maniera appariscente, il quale ci osservava dall’ingresso di una caverna, ma nonostante uno sguardo più accurato dell’indiano, archivio il tutto come una visione. E’ ora di analizzare la scena, dalle ricostruzioni, anche qui il movimento di carri, cavalli e casse lascia presupporre che c’è stato il ritiro del veleno, che sembra proprio arrivare dalla caverna che avevo notato in nottata. E’ ora quindi di fare il punto della situazione, i miei compagni convengono che sarebbe il caso di abbandonare la zona, in quanto troppo pericoloso avvicinarsi, ma questo per me si rivela invece il momento per dimostrarmi fondamentale, posso infatti sgattaiolare senza problemi verso il fondo della valle, essendo il più minuto del gruppo. Carter inizialmente boccia la mia idea di intrufolarmi, ma notando quanto io creda nel risultato della missione, riformuliamo subito un piano d’azione. Il capitano da una piccola altura, provvederà a coprirci, mentre io farò strada a Toro e Doc attraverso i fumi, fino ad avvicinarci alla caverna, per poter svelare il mistero dell’uomo incappucciato. Purtroppo è la mia sicurezza a tradirmi, in poco tempo perdo l’orientamento per essere ancora una volta aiutato da Toro a ritrovare l’ingresso; dovrò davvero ricordarmi di esaminare le sue differenze razziali, egli è davvero una sorpresa fra la sua razza. In pochi minuti Carter ci raggiunge, Doc si offre per controllare l’ingresso e noi tre rimanenti ci apprestiamo a discendere nella caverna, l’odore è nauseabondo e la vita pessima, ma non è abbastanza a fermarci. Con tutta l’attenzione del caso ci addentriamo nella caverna fino all’anfratto principale, ciò che vediamo è sconvolgente. L’uomo incappucciato esiste ed è impegnato a rimescolare in grosso calderone, parti di piccoli cristalli, senza alcun dubbio il veleno mummificante. Quell’animale va fermato, comincia così senza tanti complimenti una furiosa battaglia, il nostro avversario infatti accortosi di noi, attiva una sorta di trappola che ci scaglia addosso un gruppo di pipistrelli per impedire la vista e la mira, mentre egli attacca col veleno. 

martedì 14 ottobre 2014

La valle dei giganti

Nei pressi della valle dei giganti, Luglio, 20, 1880. Il risveglio ci coglie di sorpresa con un’inaspettata cavalleria al galoppo, la prudenza è sempre stata nostra amica, quindi cerchiamo di stabilire un veloce piano di azione, ma nel mentre notiamo che i cavalli sono vicini proprio alla nostra abitazione e che è troppo tardi per gestire un piano in quanto una voce ci intima di uscire. Varchiamo la soglia con le mani ben in alto e tiriamo un sospiro di sollievo quando notiamo che si tratta dell’esercito messicano, quindi, teoricamente, nostri alleati. Il maggiore Variera si presenta con tono formale ma amichevole, e scopriamo che la fama di Carter arriva anche qui, possiamo quindi sederci intorno al fuoco per analizzare la questione. Il maggiore e il tenente Mendez ci ragguagliano sullo stato della situazione, e soprattutto sul fatto che non è Tulac, l’unico problema, ma anche il messicano Mescal, e principalmente la loro alleanza in questo particolare affare dei fucili. Tulac e suoi alleati sono barricati al Castillo, una piccola fortezza a ovest di qui, non troppo distante dalla valle dei giganti. Carter e Variera convengono che il miglior piano d’azione altri non può essere che: il nostro piccolo gruppo, perpetrerà un indagine nella valle per poi riunirsi all’esercito, dopo due giorni, al Castillo per l’assalto finale ai banditi. Ci salutiamo con tutti i convenevoli del caso e partiamo diretti verso la zona paludosa che precede la valle, ma l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, ci imbattiamo infatti, non visti, in tre banditi che stavano perquisendo quello che sembrava essere un cadavere. Per i miei fidi compagni è facile avere la meglio dei tre banditi, due a terra è uno è subito preda del nostro gigantesco indiano. Emiliano, il bandito, parla, senza troppo sforzo, il cadavere è di un servo fuggito dalla fortezza, era stato inseguito per evitare trapelassero informazioni, ma a quanto pare il problema non è stato arginato. Il nostro prigioniero aggiunge che nella valle hanno stabilito un piccolo insediamento per il rifornimento di veleno. Consci che la nostra missione diventa sempre più chiara ci avventuriamo nel terreno paludoso, non prima di avere augurato un buon viaggio a Emiliano nel deserto. La palude è davvero inospitale e ogni movimento è faticoso, siamo talmente concentrati ad avanzare che non ci accorgiamo dell’ennesimo attacco degli indios, la lotta è serrata, ma anche qui riusciamo a sopravvivere, pagando il però il prezzo della morte di due dei nostri cavalli. Giungiamo quindi nella valle, essa è recintata da immense costruzioni di pietra, che nonostante tutto non posso non apprezzare, la valle è pregna di fumi e gas emanati dal terreno che rendono pessima la visuale e la nascondo ad occhi indiscreti e per chi non sa dove passare. E’ infatti difficile anche accorgersi che è sopraggiunta la notte, ma decidiamo lo stesso, con serrati turni di guardia, di riposare.

sabato 11 ottobre 2014

Verso la valle dei giganti

Arizona City, Luglio, 19, 1880. Ecco che ripartiamo, diversi giorni ci separano dalla valle dei giganti, ma purtroppo o per fortuna, intratteniamo il tempo con un’interessante discussione su quanto siano mentalmente arretrati questi messicani a credere ad assurde magie di chissà quale dio. Il buon Toro Scatenato, pur diverso dalla gran maggioranza della sua gente, discende comunque da un branco di selvaggi, ma decido di non far virare la discussione in quel punto, per non ferire il suo indiscusso valore in battaglia. L’innalzamento della media qualitativa del nostro discorrere, viene interrotta dall’improvvisa comparsa di una mandria di bestiame, insieme ai loro vacheros. Carter decide di avvicinarsi ai due messicani, dato che la loro presenza qui è quantomeno inusuale. I due vacheros salutano con grande umiltà e mi rendo subito conto delle loro intenzioni, stanno fuggendo, da dove noi siamo diretti. Ci raccontano senza problemi, di una vallata dove si viene colpiti a vista, di scorribande in tutti i villaggi o accampamenti qui vicino e di carri scortati a ogni ora del giorno; Tulac sta decisamente preparando qualcosa di grosso. Con il mio brillante intuito e la mia esperienza nei teatri europei, intuisco che sarebbe una buona idea mascherarsi da semplici vacheros, per poterci avvicinare e indagare in zona dando meno nell’occhio possibile e inaspettatamente i due messicani accettano anche di venderci dei vecchi poncho per aiutarci nell’impresa. Verso le diciassette del pomeriggio arriviamo al vicino villaggio, di cui oramai sono rimaste solo case abbandonate. Data la situazione disastrata riesco a fare solo una vaga stima di quanto sia successo, ma Carter e Toro data la loro più ampia esperienza riescono a trarre un’ipotesi sensata di quanto sia accaduto in città. Probabilmente Tulac e suoi hanno assaltato la città per poterla usare come centro di scambio tra casse di fucili e i contanti, a sostegno di questa ipotesi, tracce di carri, cavalli e casse ancora discretamente fresche, ci stiamo quindi decisamente avvicinando alla nostra preda, l’indagine dura alcune ore, così sopraggiunge la notte, e l’idea migliore è sicuramente accamparci in una delle case abbandonate, facile anche da controllare. 

mercoledì 8 ottobre 2014

Al Cisbani

Entrando nei pressi della cittadina, risalta una casa separata dalle altre, che attira subito la nostra attenzione, presenta atti di vandalismo tutto intorno con ingiurie e scritte sulla facciata, la definiscono casa di “El Brujo”, chissà che individuo inquietante potrebbe essere questo Cisbani. Con l’irruenza che lo contraddistingue il capitano bussa alla porta e con nostra sorprese ad aprire è quello che ha tutta l’aria di essere una pessima imitazione messicana di un maggiordomo. L’uomo alla porta si presenta come Eusebio, il collaboratore di Cisbani e ci invita a entrare. Passo dopo passo con mia immensa gioia noto che non siamo finiti dentro la casa di qualche selvaggio, ma in quella di un uomo di scienza, animali imbalsamati e libri adornano ogni angolo e addirittura un salottino dove ci accomodiamo. Finalmente dopo aver sofferto tanto la compagnia degli individui più rozzi mai apparsi sulla terra, la compagnia di Cisbani è quasi un sollievo, egli riesce al fine di svelare molti arcani delle contenitore. Ci racconta che la lavorazione del manufatto è da ricollocarsi al culto di Xuinchel un antica divinità della Sierra Encanda, attualmente guidati dal misterioso Tulac, un losco figuro. Inoltre ci svela che i suoi adepti sono noti nella zona e sono molti ad aderirvi come religione, e aggiunge che sono arrivati persino nel suo studio per cercare di appropriarsi di alcuni sui reperti, sostiene tale ipotesi il fatto di aver trovato in casa un cadavere comparso senza apparente spiegazione. Per tutto il discorso sono stato attento alle parole del professore, senza però togliere mai completamente lo sguardo da Eusebio, che sempre mostrato uno sguardo strano e vago, fino a diventare palesemente sospetto al racconto dei cadaveri mummificati. Decido di mostrare a tutti la mia intuizione spostando la mia attenzione su di lui e cercando di inserirlo nel discorso, Eusebio non ci mette molto per mostrarsi per quello che è: un adepto di Tulac. Eusebio racconta diversi retroscena che chiariscono gli ultimi avvenimenti e le ultime ore, ci confessa che siamo sotto controllo dal culto da quando abbiamo avuto contatti con Pablito, e soprattutto di lasciar perdere questa indagine se teniamo alle nostre vite. Eusebio sostiene di volerci aiutare, come ha fatto con il professore, è stato infatti lui, a chiedere ai ladri che si erano introdotti nello studio, di risparmiare Al Cisbani, richiesta che ha portato addirittura alla colluttazione dei due, lasciando appunto il misterioso cadavere. Il professore ci offre riposo mentre lui cercherà di chiarirsi con il suo aiutante, stremati decidiamo di accettare e finalmente dormire un po’.

sabato 4 ottobre 2014

Verso il Messico

Arizona City, Luglio, 19, 1880. Ritornati in città, forse più arrabbiati che delusi, veniamo raggiunti, ancora un volta, dallo sceriffo, questa volta in veste di messaggero, con un telegramma. La comunicazione appartiene a Jones, egli come ogni uomo di cultura che si rispetti, mantiene la parola è ci comunica novità interessanti sul manufatto di Pablito. Jones ci svela che il contenitore appartiene ad un antica tribù locale, ma soprattutto ci indirizza da Al Cisbani, un algerino residente a Pilares, oltre il confine, che diventa immediatamente la nostra prossima meta. Riusciamo a guadare, questa volta con poca fatica grazie al traghettatore fuori città e la sua piccola chiatta. Arriviamo in poco tempo a Willox, e prima di addentraci in città troviamo chiaramente tracce di cavallo e quello che potrebbe essere sangue, che sia Pablito? Seguiamo le orme di cavallo, fino a una piccola locanda fuori città, presidiata da due messicani nella loro tipica “siesta”. Lo scambio tra noi e i locali è breve, loro sono poco più che animali in fondo, mentre il nostro di selvaggio, si dimostra molto di più che all’altezza notando una brandina insanguinata oltre la porta socchiusa. E’ evidente che i due messicani erano in soci del farabutto così dirigendoci dalla parte opposta da quella da loro indicata, troviamo proprio Pablito, ormai morente caduto da cavallo dietro una collinetta, Carter lo aveva evidentemente conciato male. Il messicano è delirante, riusciamo a distinguere solo poche parole: Tulac e la valle dei giganti. Poco soddisfatti di quanto accaduto non ci rimane che proseguire verso Pilares e forse qualche risposta.

martedì 30 settembre 2014

Spari e acqua

Troviamo infatti Toro e Doc davanti al saloon che stanno aggiornando lo sceriffo di quanto accaduto e si trovano ben sorpresi di vederci arrivare. Dal farfugliare di Rhodes lo sceriffo capisce subito che quello che è accaduto non torna, e capisce dalle imprecazioni di Carter, che chiudere al sicuro il proprietario dell’emporio può sicuramen
te non essere una cattiva idea, così lo affida al suo vice per portarlo in cella. Ci ritroviamo tutti cosi al saloon per festeggiare un altro caso, che comunque pare risolto, e io non posso fare a meno di domandarmi come sia possibile che degli imprenditori come Rhodes e Bradford siano caduti vittime della superstizione, Pablito, ovunque egli sia è semplicemente un farabutto. Siamo in tarda serata e sono passate alcune ore ormai quando sentiamo grida provenire dalla strada. Ci raggiungono il vice e lo sceriffo raccontandoci che stavano scortando indietro Rhodes perché aveva mostrato la volontà di raccontare ancora particolari quando sono stati aggrediti, e Rhodes ha perso la vita come tutti gli altri, mummificato. Cerchiamo di collegare come gestire quanto successo quando, i più svelti di occhio notato una figura misteriosa in uno scorcio poco illuminato della strada, e i più svelti con la pistola colpiscono. Troviamo subito tracce di sangue, che si allontanano, non può essere altri che Pablito, parte l’inseguimento. Carter balza subito davanti, seguito da Toro e Doc. Fatico a tenere il loro passo è solo poco tempo che mi sono riscoperto uomo d’azione, ogni occasione durante il tragitto è buona per i miei compagni per tentare un altro colpo di pistola. La notte è sempre più buia mentre arriviamo nei pressi del fiume, le ore che seguono sono riassumibili con poche parole, spari e acqua. Carter tenta l’inseguimento in acqua, tentiamo di supportarlo alla meglio, ma la situazione è frenetica, Pablito quasi inumano, tantoché riesce a guadare il fiume. Il nostro gruppo arrivato dall’altra parte della riva riesce solo a scorgere un cavallo dietro la collina che si allontana e constare che ormai è ora di tornare indietro, sconfitti. 

domenica 28 settembre 2014

False testimonianze

E’ evidente che diviene necessaria un'altra indagine con i proprietari dell’emporio, la fortuna ci assiste e incrociamo Bradford uscire dal saloon. Non appena ci avviciniamo Bradford appare più stizzito, se possibile, dell’ultima volta, ma Toro e Doc impiegano pochissimi secondi a prepararlo all’interrogatorio. Il comproprietario sostiene di non vedere Pablito da giorni e che tutto ciò sia assolutamente normale, la reticenza del commesso è talmente strana che persino il capitano mantiene la calma curioso di scoprire cosa c’è davvero dietro. Ma ecco che Bradford, fa appena un piccolo cenno per congedarsi, che lo vediamo, prima cadere a terra e dopo pochi secondi, ecco l’incredibile, il corpo mummificato in pochi secondi, sono esterrefatto. Anche se l’istinto mi gridava di cercare riparo, è evidente che è stato un colpo mirato e posso avvicinarmi al cadavere per notare un piccolo foro sul collo e un altrettanto piccolo dardo vicino, il caso potrebbe essere risolto. Da una veloce ricostruzione, la soluzione più plausibile è appunto un’alleanza fra Bradford e Pablito per derubare Rhodes, per Carter il caso sarà completamente chiuso dopo aver informato il proprietario superstite, così io e lui ci dirigiamo all’emporio, mentre Toro e Doc rimangono al saloon per attendere l’arrivo dello sceriffo e informarlo dell’accaduto. Arrivati all’emporio troviamo tutto chiuso, siamo quasi decisi ad abbandonare l’ultimo saluto a Rhodes, quando sentiamo dei rumori provenire dal retrobottega, dobbiamo bussare animatamente e più volte, perché il proprietario compaia alla porta. Rhodes ascolta con attenzione la storia, e noto subito in lui più paura che rabbia per il tradimento, così Carter decide di andare a fondo alla questione calcando un po’ la mano, e inaspettatamente il proprietario, scoppia in lacrime al grido di “non voglio morire.” La situazione diventa così addirittura tragicomica, Rhodes piange e solo dopo alcuni ceffoni del capitano, riprende a raccontare, ma questa volta, la verità. Pablito ha bussato all’emporio qualche settimana fa, presentandosi inizialmente come un semplice manovale in cerca di lavoro, per mostrarsi come una specie di “stregone” e ricattare gli stessi proprietari, infatti, Rhodes, ci comunica che lui e Bradford nel recupero fucili non avevano la benché minima parte. Trasciniamo fuori Rhodes e decidiamo di portarlo al saloon con noi, dove ormai dovrebbe trovarsi lo sceriffo, per affidarlo alle sue cure e dimenticarci di questa pessima storia, il tutto solo dopo l’ennesimo ceffone di Carter al piangente prigioniero.

venerdì 26 settembre 2014

Il cadavere mummificato

Oltre le canoe, la vegetazione nasconde quello che a giudicare dai vestiti sembra essere l’aiuto macchinista scomparso, ma la cosa inquietante è che lo troviamo completamente mummificato, quando sappiamo benissimo che non più di un paio di giorni sono passati dalla sua presunta morte. Accingendomi a esaminare il corpo noto un foro, probabilmente provocato da un dardo alla base del collo, un veleno forse? Dall’avventura con Victor, non mi stupirei se si trattasse di un composto capace di provocare un una mummificazione dei tessuti. E a sostenere la mia teoria che espongo a un sempre più irritato Carter, per via delle stranezze della situazione, trovo vicino al corpo quello che sembra un piccolo contenitore rotto. Torniamo in città ormai alle prime ore della sera, ed è così che incrociamo lo sceriffo durante la sua pattuglia. Alle domande di Cane sui nostri risultati, mostriamo in risposta il contenitore, e al nostro gesto, lo sceriffo ci svela che null’altro si tratta del medaglione di Pablito, il tuttofare di Rhodes. Quasi a voler spezzare la tensione, si avvicina a noi, un distinto signore, che riconoscono subito essere qualcuno di acculturato, a differenza della maggior parte di incivili che stanno popolando le nostre avventure americane; egli si presente come Arthur Jones, ricercatore anche lui in viaggio e nello specifico per la Virginia. Carter quasi scocciato per la situazione, al sentire la parola “ricercatore” decide di provare a chiedere informazioni al signor Jones, sullo strano contenitore da noi ritrovato. Mentre osservo Jones, analizzare, riesco a rendermi conto che si tratta di un uomo in possesso di una grande cultura, ma di un pessimo metodo di studio, infatti riesce solo a ricordarsi di averlo già visto, ma nulla più per poi correre verso il treno, solo dopo aver promesso a Carter che avrebbe scritto dalla Virginia per darci qualche informazione in più. 

domenica 21 settembre 2014

Arizona City

Arizona City, Luglio, 18, 1880. Arriviamo come al solito a metà mattinata, Arizona City è piccola formata dall’emporio e dalla ferrovia come uniche strutture degne di nota ed è vicino al confine, questo mi porta alla supposizione che dietro tutto potrebbero tranquillamente esserci l’opera dai messicani, quella sporca feccia che altro non fa che devastare le terre vicino al confine, se non fosse per le strane modalità, quindi non ci resta altro che indagare. Come prima tappa in città la visita allo sceriffo è una scelta obbligata, e scopriamo con curiosità che anche qui la reputazione di Carter lo precede. Lo sceriffo Oscar Cane ci accoglie con pochi convenevoli e ci racconta subito i dettagli che potrebbero fare la differenza nella nostra indagine: i fucili aumentavano di numero a ogni carico e sono sempre stati senza scorta, ed ogni furto è stato mirato e senza vittime, salvo l’ultimo dove l’aiuto macchinista di coda è sparito completamente e misteriosamente, forse un complice? L’unico indizio veramente degno di nota è la mappa della zona, che segna i punti sensibili, tra i quali il Gila River che costeggia un piccolo tratto del percorso del treno. Ancora confusi dal mistero altra, tappa obbligata per capirci qualcosa è la stazione, dove troviamo il capo macchinista Anthony. Uomo rude e di fatica aggiunge ben poco a quel che già sapevamo confermandoci che dalla capo del treno nulla ha potuto sentire o vedere salvo alla stazione notare che il carico veniva ogni volta sistematicamente rubato. Ormai stanchi di non avere un quadro chiaro ci dirigiamo direttamente alla fonte, all’emporio Rhodes dove veniamo accolti dal signor Bradford, uomo talmente anonimo che viene scambiato da Carter da nulla di più che un commesso, rivelandosi invece il socio dell’emporio. Rhodes conferma al capitano Carter che la mancanza della scorta per il carico era dovuta a una ristrettezza di fondi e che non ha nessun sospetto in particolare, mentre a durante il mio interrogatorio a Bradford, non emerge nulla di più. Decidiamo quindi di fare un ultima prova ripercorrendo a ritroso la ferrovia e dopo circa un’ora arriviamo vicino al fiume. La zona che unisce la ferrovia al Gila River è quanto mai piena di sorprese, troviamo nascoste tra la vegetazione alcune canoe non riconducibili a nessuna tribù, ma abbastanza sospette da indicarci che potrebbero essere state usate per trasportare il carico, che magari era stato fatto cadere in acqua durante il tragitto, così mentre la situazione sembra sbloccarsi, ancora un volta il mio occhio attento è fondamentale.

mercoledì 17 settembre 2014

Partita a Poker

Prima di lasciarci andare, ci informa del miglior saloon dove riposarci ma ci avverte anche di fare attenzione a WildCat, un famoso giocatore che è arrivato in città. Non appena lo sceriffo parla di poker, Doc si allontana pronto alla ricerca di emozioni e alcool con il cosiddetto professionista del poker; non posso fare a meno di seguirlo sono curioso di studiare tale individuo WildCat. Così ci separiamo Carter intima che se non riesce a levarsi la polvere di dosso avrebbe cominciato a sparare a chiunque avesse davanti, lui e Toro Scatenato si dirigono così alla ricerca di un bagno mentre io e Doc siamo impazienti di verificare le abilità al poker del famoso giocatore. Doc si siede davanti a WildCat senza dire nulla, con bottiglia di whisky alla mano, e così ben presto siamo carte alla mano. Si potrebbe pensare che in America come in Europa il poker sia un gioco di astuzia, di sottigliezze e studio dell’avversario, ma non ci sarebbe nulla di più sbagliato, nel “selvaggio west”, parliamo di un gioco di sguardi e di intimidazione. Doc quasi non guarda le carte, talmente è tanto concentrato sul nostro avversario, talmente tanto, che per un momento vedo WildCat quasi spaventato, almeno fin quando tirate giù le carte, il suo punto è il superiore. Strano questo americano, gioca in modo violento e quasi arrabbiato, così poco concentrato al gioco che per me è difficile interpretare le sue emozioni. Secondo giro, oramai io e gli altri due gentiluomini al tavolo siamo solo gli spettatori della partita fra WildCat e Doc, la tensione è palpabile, tutto il saloon è avvolto in un innaturale silenzio, che viene spezzato solo dalle parole di WildCat “scala”. Dopo i quindici secondi più lunghi ai quali abbia mai assistito, Doc, senza nemmeno sorridere, sentenzia la fine della partita con un solo sibilo “poker”. Sembrerebbe tutto finito, quando il nostro avversario, non si mostra altro che un bambino capriccioso, accusando il mio compagno d’avventura di barare, Doc sprezzante lo invita a bere, e di tutta risposta WildCat riesce solo a provare a estrarre le pistole prima di scappare fuori dalla porta per i colpi di Doc, la partita è vinta e la pelle e i soldi sono salvi, anche per oggi. Mentre Doc comincia a festeggiare nel suo modo preferito e io comincio il mio studio, prettamente scientifico, per le donne locali, entrano nel saloon Carter e Toro. Abbiamo solo voglia di rilassarci quando gli Earp si siedono al nostro tavolo, questo è quello che mi verrà raccontato al mattino dai miei compagni, mentre ero impegnato negli studi in camera con la signorina del locale. Ad Arizona city si sono verificati tre furti di fucili, tutti riconducibili al carico del signore Rhodes e tutti avvenuti durante il trasporto verso la citta da San Francisco. Quel che io ricordo della mattina successiva è il cavallo che mi conduce ad Arizona city. 

giovedì 11 settembre 2014

Tombstone

Tombstone, Luglio, 17, 1880. Il viaggio verso la nostra nuova tappa è stato molto diverso da come lo avevo immaginato, credevo avremmo cercato di analizzare e capire la situazione in cui eravamo incappati, invece i miei compagni non hanno fatto altro che rimuginare ad eccezione dei canti dell’indiano si può praticamente dire che abbiamo viaggiato nel silenzio più totale, come se Carter fosse arrabbiato nonostante le scoperte e la vittoria in miniera, cosa sarà successo? Tombstone è davvero grande, ancora lontana dalle vere città dell’Europa ma non posso non apprezzarne la vivacità e l’affollamento. In particolare è curiosa la gran calca vicino a quello che scorgo essere un patibolo, con ben tre uomini in attesa del giudizio dei quattro inflessibili sceriffi sotto di loro. Mi soffermo con lo sguardo verso gli uomini in nero che si dirigono verso di noi; ma prima che possa dire qualcosa, il più alto dei tre ha sparato al cappio di uno dei condannati. Il tentativo di fuga di questi sporchi bifolchi ha vita breve, infatti uno di loro è già a terra sotto i precisi colpi di Doc mentre Carter comincia a puntare gli altri due. Io e Toro ci dirigiamo verso la folla, l’uomo che si è ribellato al cappio tenta di fuggire aizzando il cavallo contro la folla. Cerco di divincolarmi meglio che posso ricordando le giornate a cavallo nella tenuta, presto io e il malvivente siamo fuori dalla folla, di quei momenti concitati ricordo solo il viso spaventato dei passanti durante il breve inseguimento e infine Toro Scatenato che mi aiuta a rialzarmi dopo la caduta da cavallo, credo di aver giudicato male l’indiano… Mentre mi riprendo noto che Doc e Carter hanno sbaragliato facilmente gli aggressori e stanno discutendo con gli sceriffi. Quando mi avvicino scopro che abbiamo a che fare con i fratelli Earp, tutori dell’ordine di queste zone, che ci ragguagliano sulla situazione. Il tentativo di fuga che abbiamo sventato era ad opera dei Cowboys, un gruppo di fuorilegge al soldo di Grucius, un poco di buona che terrorizza questa zona, da molto tempo. Wyatt Earp inoltre ci informa che la nostra permanenza a Tombstone sarà breve, il governo ci ordina di tornare al confine, ad Arizona City per investigare su uno strano furto di fucili. Siamo sempre al servizio delle legge e dell’avventura, anche se il capitano si convince a partire solo al parlare della ricompensa.

domenica 7 settembre 2014

La fine o l'inizio?

In seguito questo è quanto ricostruii grazie ai racconti dei miei compagni di quanto era accaduto nella miniera, unito al mio successivo sopralluogo. Carter, Doc e Persino l’indiano hanno dimostrato il loro valore addentrandosi nella miniera combattendo con quelli che sembrarono a prima vista una sorta di cadaveri rianimati scientificamente, però a poco è servito il loro tentativo di inseguire il responsabile che a quanto pare
si trovava nella miniera proprio in quel frangente. Pare che dietro tutto ci sia il mio vecchio compagno di università Victor, che nella miniera utilizzava i corpi dei minatori per una sorta di esperimento, dai suoi studi, ho potuto ricavare solamente che la formula che utilizzava era stata scoperta insieme ad antichi resti indiani. Antichità indiane che raccontavano una storia quanto mai curiosa. Secoli or sono degli esseri arrivati dalle stelle attaccarono le tribù del luogo, che riuscirono a ricacciarli con l’aiuto di cinque valorosi capi. Ovviamente stiamo parlando di allucinazioni dovute al fumo dei selvaggi, ma di concreto c’è che i cinque corpi erano qui presenti e sono proprio quelli di cui si sono appropriati i teschi.
Carter e gli altri dopo aver perso le tracce del colpevole, si ricongiungono a me solo per fuggire in fretta verso la città, per cercare di capire di più sulle possibili implicazioni nella comunità stessa. Nessuno di noi vuol parlare più del dovuto di quanto accaduto e visto nella miniera la tensione palpabile viene rotta dall’arrivo di Matt che ci svela quello che potevamo già intuire. Il colonnello dell’avamposto militare ci ha fatti seguire e tenere d’occhio fin dal nostro arrivo e ora sta cercando di farsi consegnare un mandato per arrestarci, come minimo.
La nostro ultima tappa in città e presso lo sceriffo per metterlo al corrente dello stretto indispensabile e per ragguagliarlo sulla fine del povero Jacky. La situazione è tesa e subito dopo il rapporto di Carter per telegrafo, siamo tutti d’accordo per partire alla volta della vicina Tombstone, come unico indizio presente sulle carte di Victor, c’entreranno davvero i teschi? E l’inizio di un avventura o di un incubo?


domenica 31 agosto 2014

Dentro la miniera...

Vedere la miniera da lontano mi provocava un misto di paura e sollievo, mentre al capitano altro non faceva che procurare un aumento dell’ira, a Doc cresceva la voglia di sparare e Toro altro non faceva che parlare con la sua aquila come al solito. Ciò che vedemmo fu la normale presentazione di un ingresso di uno scavo, fu quello che non vedemmo a insospettirci, non c’era anima viva, e solo dopo avrei compreso l’entità di queste mie affermazioni. La nostra prima tappa fu la baracca dell’amministrazione della miniera, disordine e sangue, ma cosa era successo? Trascinati dalla situazione e dall’irruenza i miei compagni corsero a ispezionare il capanno degli attrezzi e il dormitorio, senza però trovare nulla, a differenza di me, che data la mia abilità investigativa trovai qualcosa di ancor più particolare di quanto visto finora. Una richiesta ufficiale al magazzino in città, per la consegna di cinque bare, nulla di strano in realtà se non fosse per la firma, siglata appunto con il simbolo del teschio; Carter fu il primo a trasalire e a sussurrare “skulls and bones”. Il capitano corse fuori verso l’ingresso decidendo per tutti che era il momento di capire cosa stava succedendo e che le risposte erano nella miniera. Riuscivo solo a pensare al forte odore di sangue proveniente dall’ingresso quando Carter si avvicinò a me e disse:” Voglio che qualcuno torni vivo, prendi il cavallo e aspetta davanti l’ingresso, se non sentirai più nulla, corri, galoppa più che puoi, non raccontare a nessuno quello che hai visto, e soprattutto non una parola sui teschi, d’accordo?” o almeno questo è quello che capii, potei dire solo “si, signore”. Mentre i miei compagni si dirigevano verso la porta, non potei che domandarmi, se mi avesse lasciato all’ingresso, perché sarei stato solo d’impiccio o perché ero l’unico davvero affidabile per portare la verità di quanto era successo.

sabato 23 agosto 2014

I magnifici 4

Durante il turno di Doc non riesco a dormire, lo vedo quasi più sveglio del solito, sarà la mancanza d’alcool? Tocca finalmente a me, penso che sono di nuovo pronto a dimostrare il mio valore in questa spedizione, quando comincio distintamente a sentire rumori da dietro un arbusto. Non voglio rischiare di non essere all’altezza della situazione così, con tutta il rispetto e la delicatezza, sveglio il capitano e lo metto al corrente di quanto accade; sfortunatamente si tratta solo di un paio di coyote attirati dal tenue fuoco, il capitano allontana loro e poi me, prima di ricoricarsi nel giaciglio. La nottata prosegue senza troppe distrazione, a parte l’assurdo e fastidio canto di Toro, di cui solo Doc pare trovare giovamento.


Nei pressi della miniera d’argento, Giugno, 13, 1880.
Rinfrancati dalla notte di riposo saliamo in groppa ai cavalli decisi a scoprire cosa accade davvero nei dintorni, e grazie al mio colpo d’occhio viene a galla l’ennesima stranezza. Una serie di tracce, come di ruote, quei segni che potrebbero essere proprio delle diligenza scomparsa, decidiamo di approfondire lasciando la strada principale verso la miniera e ci ritroviamo all’interno di canyon con quello che rimane del carro che aveva lasciato i segni. E’ strano molto strano quello che troviamo, nessuna traccia visibile, nessuna stranezza un carro semidistrutto e abbandonato da tempo, solo casse vuote con la bandiera americana e nulla di più, forse l’ennesimo punto cieco? Dopo la scoperta del carro distrutto diventa obbligatorio indagare sulla pila di corpi che avevamo scoperto il giorno prima.
E’ una strage una dozzina piena di morti, messicani, e ancora le casse d’armi, il collegamento diventa semplice, contrabbando e un imboscata, questi avanzi di galera, si sono fatti la pelle a vicenda, continuo a essere stupido della stupidità di questi banditi. Cerchiamo indizi, nonostante i canti lamentosi del nostro indiano, è quello che notiamo sono bossoli infilati nella bocca delle vittime, una firma? Sono completamente d’accordo col capitano Carter quando fa notare quanto sia trafficato questo piccolo angolo di nulla.
Così completamente all’oscuro di quando accade ritorniamo sulla strada principale pronti per dirigerci alla miniera, ma nuovamente qualcosa di strano canalizza la nostra attenzione, troviamo quella che sembra essere senza ombra di dubbio la diligenza partita dalla miniera, insieme al cadavere del povero Jacky. Ecco però che questa volta notiamo indizi significanti e cioè: la diligenza trasportava qualcosa di diverso da un carico d’argento o d’oro i segni del peso lo indicano chiaramente, non ci sono segni di scorta alla carrozza e infine Jacky presenta lo stesso rituale dei messicani, ma con un una particolarità, il bossolo nella bocca è lo stesso dell’arma che l’ha colpito alle spalle. In che terribile angolo di mondo siamo finiti? E’ questa la domanda che continuammo a ripeterci mentre ci affrettavamo, nell’unico posto dove speravamo di trovare risposte.

venerdì 15 agosto 2014

Per un pugno di dollari...

Abbiamo il sopravvissuto davanti, è visibilmente scosso; e nonostante sia stato proprio lui ad attaccarci, stranamente dal suo viso, nonostante la vistosa sporcizia, riesco a capire che è solo un povero disperato, mentre i miei compagni credo facciano quasi a gara a chi lo intimorisce di più. Ci racconta, incoraggiato da Carter, di chiamarsi Matt, di essere, come è evidente dai suoi vestiti, un minatore. Lui e il suo compare sono stati reclutati per seguirci, sfortunatamente, era proprio l’altro ad avere i contatti con il mandante, i miei compagni non si fidano cercano di estorcere informazioni allo sventurato, ma è evidente che sta dicendo la verità. Ci racconta che in città c’è un altro uomo potente oltre Marlon, cioè O Connor il gestore dell’emporio ha parecchie attività aperte con l’esercito. Ma soprattutto ci dice che la miniera è esaurita da ormai due mesi e mezzo, giorno in cui il capo miniera Francis li ha cacciati via, anche questo è vero; ma allora perché Marlon ci ha raccontato di un carico che doveva partire due giorni fa? Davvero non sapeva nulla. L’ultima cosa che aggiunge prima di richiudersi nella paura è di una misteriosa serie di cunicoli naturali scoperti nella miniera proprio nel suo ultimo giorno. Carter decide che sarebbe una buona idea mandare indietro il povero disgraziato per scoprire chi li aveva assoldati, io mi limito a confermare che è certo che Matt non ci avrebbe mentito, cosicché lo mandiamo indietro con dieci dollari e la minaccia di aiutarci o fare una fine orribile.
Cavalchiamo ancora per qualche ora, finché poco prima che cominci a fare buio, l’indiano grazie alla sua vista sviluppata, riesce a notare quello che sembra il teatro di un massacro poco distante, annunciato dal gran numero di avvoltoi che gli volano intorno; il Capitano suggerisce con il suo solito tatto, che sarà meglio per noi occuparcene l’indomani dopo aver riposato. Mentre mille domande affollano il gruppo, sorseggiamo altro caffè, prima di decidere i turni di guardia, Doc, impaziente e irruente come al solito, sarà il primo, io avrò l’onore di essere secondo, poi il capitano Carter e infine il selvaggio. Vengo istruito su come condurre un turno di guardia, di come non dovrei né scrivere, né leggere, per mantenere alta la concentrazione, ma ciò che è accaduto fin ora, è troppo interessante per non essere documentato.

mercoledì 6 agosto 2014

Quello che gli indiani pensano...

Gli spiriti sono inquieti. Lo sento nella sabbia e nel vento e mi tocca assecondarli, capire cosa vogliono comunicarmi. La mia aquila osserva dall'alto nostro gruppo poco colorito. Lo sceriffo Carter Virginia sembra uomo buono e saggio e io mi fido di lui. Anche il giovane sputafuoco sembra buono e credo io deve prendere ad esempio lo sceriffo. L'uomo vestito bene invece non mi piace anche se fa parte del nostro gruppo; forse perché arriva da molto lontano, oltre Grande Mare ad Est e non crede ai miei spiriti. Cosa sa lui di spiriti? Lui sempre avete testa sui libri ma non sempre tutte le risposte trovare sui libri. E come se non bastasse guai guai grossi vicino di miniera e sceriffo Carter Virginia volere indagare. Confido negli spiriti che ci guidano a dispetto dell'uomo elegante.



venerdì 1 agosto 2014

Il capitano John Carter

Dannati yankees, non sono contenti di aver distrutto il mio stato, di avermi rubato tutto: i miei soldi, le mie terre, il mio modo di vivere. Non gli è bastato avermi fatto scappare fin quaggiù, in questo deserto maledetto da dio e disprezzato dagli uomini. Speravo che andando abbastanza a sud avrei potuto rifarmi una vita tranquilla e senza troppe ingerenze da parte di quei maneggioni, ma no! Anche se ho accettato di lavorare per loro e di far rispettare la loro legge non è abbastanza! Mi hanno anche mandato un cucciolotto a cui badare, uno smidollato studioso che pensa di poter dare ordini ai miei compagni e addirittura a me, quando anche una falange del mignolo di uno qualsiasi di noi vale dieci cuccioli arroganti come lui. Cercherò di tenere a freno Doc, che è forse il più nervoso di noi, almeno finché il cucciolo non capirà che questo non è il suo mondo, qua non ci sono zii o altri parenti che ti spianano la strada, qua si paga in prima persona: o sai comportarti come si deve o devi aspettarti che qualcuno ti presenti prima o poi il conto. Che poi mi abbiano mandato tra i piedi questo impiastro nel bel mezzo di un caso rischioso mi fa ancora più imbestialire: siamo solo in tre e sembra che dovremo vedercela con almeno una ventina di brutti ceffi. Se non si da una regolata penso che lo useremo come esca per i nostri avversari ...


Fortunatamente ho con me il buon Doc e il fido Toro Scatenato: compagni che sanno come si sta al mondo e come ci si comporta in questo angolo di nulla. In questi anni ci siamo reciprocamente aiutati e soccorsi, con rispetto e anche, perché no, con affetto: ciascuno con il proprio compito e le proprie caratteristiche.
Chissà, forse anche il cucciolo potrà avere una qualche utilità: alcune delle sue osservazioni sono state interessanti. Se imparerà a non starci tra i piedi quando le cose si fanno calde, a evitare di dare ordini assurdi a sproposito e, soprattutto, a pensare di essere un padreterno perché la sua famiglia è importante forse riuscirà a tornare a casa intero e senza troppi danni. Pare che non abbia proprio capito come funzionano le cose qua al confine: le pallottole sono la cosa più a buon mercato e lo spazio per far sparire qualcuno non manca certo; vedremo come evolverà la cosa, certo che se non comincia ad avere un po' di rispetto per gli altri dovremo investire un po' di denaro in pallottole e un po' di tempo per nascondere il suo cadavere ...

domenica 27 luglio 2014

Una banda di teppisti

Troviamo il nero di prima, quasi circondato dai soldati del presidio militare, mentre Toro Scatenato ci assicura che i cavalli sono sani e sono stati trattati con il massimo della cura, Carter viene riconosciuto dall’ufficiale del presidio, credo che siano riusciti a non a mettere mano alle pistole solo per via della nostra fretta di partire. Poco prima di andar via, dalla piazza, veniamo avvicinati dalla segretaria di Marlon che ci ricorre per chiederci di tornare ancora alla banca, allorché decido di accodarmi al capitano per seguirlo e dimostrargli così di essere sempre pronto all’azione, inaspettatamente, Carter fraintende le mie intenzioni fino mostrarmi la pistola, la situazione sembra degenerare finché non viene interrotta dall’arrivo di Marlon in persona. Il banchiere ci confessa di non averci raccontato tutto, di averci nascosto, per paura, che da un paio di giorni aspettava una diligenza con un ultimo carico d’argento, carico mai arrivato; comincio a pensare che per sospettare di lui non sia necessaria una laurea, infatti se ne accorgono anche i miei compagni, che decidono di affrettare la partenza.
Ci troviamo fuori dalla città, Toro Scatenato e Carter cercano tracce, Doc cerca altro whisky; ma in poco tempo siamo già lontani; il paesaggio è magnifico, il nulla a perdita d’occhio, le montagne sembrano abbracciarci, non capisco come mai i miei compagni non riescano a godersi il paesaggio. Poco prima di accamparci ai primi segni del tramonto, ricordo la maestosa carica di un gruppo di bufali, la mia scelta di partire è stata quanto mai saggia. Decido di preparare il caffè per tutti, umilmente, per porgere le mia scuse al fraintendimento col capitano, riesco a notare che l’indiano farfuglia strane parole e pare dormire, poco prima che riesca a fare domande, egli si riprende e ci comunica che saremmo circondati da banditi. Mi armo del mio nobile coraggio e della mia pistola, ma riesco solo a vedere Doc caricare le sue pistole, il capitano comincia per prima a fare parlare il piombo, mentre l’indiano sparisce per qualche minuto per tornare con il corpo di uno dei malfattori, credo che abbiamo vinto, e credo che la mia scelta di partire potrebbe aver avuto necessità di più riflessioni, quando noto che non sono riuscito a muovermi di un solo passo durante l’assalto.

mercoledì 23 luglio 2014

Puzza di bruciato

Lo sceriffo Banner si presenta come rozzo uomo di legge, quale è evidentemente essere, accanto a lui, uno suoi vice, Kurt. Banner ci invita nella sua baracca, lì grazie alla confidenza che sembra esserci col capitano Carter, acquisiamo molte informazioni utili, che spiccano tra l’ovvia disastrosa situazione economica della città. A catturare la mia attenzione è il nome del sindaco nonché proprietario della banca e della miniera, il signor Marlon, nome che credo di aver già sentito anche se non ricordo dove, dovrò approfondire, secondario per me è invece la sparizione dell’altro vice dello sceriffo, Jacky. 

Dopo aver salutato con pochi convenevoli, riesco a far valere la mia opinione indicando come prossima tappa, la banca di Marlon. Definire banca quel piccolo edificio è un insulto alle vere banche della grande città, ma se così deve essere… La segretaria di Marlon da dietro lo sportello rimane un po’ stupita dal nostro arrivo, e con la sua solita “cordialità” il capitano Carter le intima di annunciarci a Marlon. Noto subito che Marlon può definirsi aristocratico, solo in quanto arricchito, spiacevole, ma comunque notevole. Ci racconta, molto, forse troppo, che è praticamente proprietario di tutta la città, che la miniera è veramente esaurita, ma che non ha informazioni dai suoi impiegati da giorni, e inoltra si lamenta degli aiuti statali, in particolar modo dello zio, molto spiacevole, sarò costretto a riferire. Ci congediamo dopo che mi sono premunito di raccogliere un’autorizzazione dal signor Marlon per entrare in miniera ed eliminare le probabili seccature a venire. A differenza di quanto annunciato al signor Marlon, Carter sostiene che sarebbe meglio partire subito, per sviare i sospetti, dice, quindi ci dirigiamo dal maniscalco per i cavalli.

sabato 19 luglio 2014

In città

Arriviamo finalmente, nelle prime ore della mattinata in quella che i locali definiscono città, è un luogo scarno e spoglio, come in tutti i “villaggi” di questa zona l’unico edificio davvero imponente è la casa del piacere, tutti i uguali i popolani. Mentre ci avviciniamo alla piazza, un nero ci sia avvicina con fare convinto, si dichiara il maniscalco della città, i miei compagni decidono di fidarsi di lui a istinto, io decido di farlo perché i lineamenti del suo volto mi raccontano una storia, è un uomo semplice, ma anche affidabile; decidiamo così di lasciargli i nostri cavalli da accudire. Sotto mio cauto consiglio ci dirigiamo al saloon per trovare un luogo ove poter riassettare il materiale, anche se le priorità dei miei compagni sono ben diverse; per esempio Doc, sostiene di aver una gran sete, come se non bevesse da ore, eppure mentre lo dice sta appena finendo di sorseggiare il suo ultimo goccio dalla fiaschetta. Il capitano Carter sostiene che fra le nostre priorità dovrebbe esserci il bagno, lodevole, ma i libri dovrebbero essere più importanti; curioso il fatto che veniamo avvicinati da uno sporco, letteralmente, ubriacone, mentre contrattavamo col barista per le camere. 
L’uomo, che scopriamo chiamarsi Joseph, attira i pensieri del capitano Carter, citando la miniera nei suoi vaneggiamenti. La miniera d’argento ha fatto per qualche tempo la fortuna della città, attirando lavoratori e donando un minimo di benessere ai suoi abitanti, ma da tempo il filone si è esaurito, lasciando la Rose Town nella povertà e nello sconforto, ma ora tra le parole senza senso e i racconti sconclusionati di Joseph, si parla di miniera e nuovo filone d’oro. Joseph è un povero disgraziato, non ho nemmeno perso tempo a esaminarlo, ma Carter sostiene che pagargli da bere per farlo vaneggiare possa essere utile, almeno finché non diventa del tutto incomprensibile. 
Mentre ci allontaniamo verso il bagno, la giovane cantante sul palco, ci nota e ovviamente ricambia in particolar modo il mio sorriso, sicuramente ha buon gusto. Dopo aver dovuto far portare attenzione ai libri durante il bagno, il capitano decide che non abbiamo diritto né a riposo né a sistemazione, così ci dirigiamo alla piazza per decidere il da farsi. Veniamo quasi colti con sorpresa, quando sono le novità a venire da noi, incontriamo così la legge, in questa città, che si presenta a nome di sceriffo Banner e il suo vice Woody.

Lungo le vie del West

A cura di Edward Lombroso.
Nei pressi di Rose Town, Giugno, 12, 1880.
Ormai sono sempre più convinto, che aver finalmente varcato la soglia della magione familiare in cerca dell’avventura sia stata un’ottima scelta. Il mio saggio padre non n’è ancora convito a giudicare dalle lettere che riescono a giungermi, ma da quando lo zio, da noi in visita in Europa, mi ha proposto di aggregarmi alla spedizione del capitano John Carter, finalmente sento di affrontare una sfida adatta alle mie capacità.
Dalla partenza da Dallas, è passato più di un mese, e ho potuto approfondire la conoscenza dei miei compagni di viaggio, un gruppo pittoresco senza di dubbio, chissà se troveremo l’avventura o solo guai. Il giovane Doc Holiday per esempio, è un volenteroso, ma sembra sempre più interessato ai piaceri dell’alcool a dispetto dell’azione. L’indiano, invece di cui non ricordo a stento il nome, credo Toro in corsa, Toro Scatenato qualcosa del genere, ha un fisico possente, ma credo sia normale per una razza selvaggia come la sua; i suoi canti alla luna hanno qualcosa di quanto assurdo quanto primitivo, devo trovare il tempo per studiarlo. Il capitano Carter è stata una sorpresa, lo credevo un valoroso cavaliere, come quelli di cui si favoleggia nei nostri salotti europei, invece è un uomo rude e pratico, tutt’ora nutro dei dubbi sull’approccio per portargli rispetto ma allo stesso tempo per far valere il mio rango.
Dalle informazioni preliminari per la stesura del mio libro sulle variopinte personalità di questo “selvaggio west”, ho estratto alcuni rapporti che potrebbero esserci utili. Rose Town è una cittadina che ha contato fino a duecento abitanti, ora si ritrova con poco più di ottanta anime che vivono lì; la miniera di argento, fulcro dell’economia cittadina è in esaurimento, o almeno queste sono le voci. La città è inoltre infestata da due bande di rivali di fuorilegge che si contendono ovviamente il territorio, dato che non è visibile o intuibile alcunché tipo di ricchezza. Gli scuoiatori, così si fanno chiamare i disgraziati al seguito di Jack Thompson; uomo curioso, si vocifera abbia una predilezione per i coltelli, sono tanto intenzionato a interrogarlo, quanto il capitano Carter a incassarne la taglia che ammonta alla significativa somma di cinquecento dollari da vivo e cento da morto. La mia più grande curiosità invece è dovuta al signor Peter Mayer, soprannominato da alcuni “Pete, la Iena”, personaggio atipico, a partire dal fatto che il governo lo desidera vivo a tutti i costi data l’impressionante cifra di millecinquecento dollari che ha fatto brillare gli occhi della maggior parte dei miei compagni; inoltre egli è il leader dei terribili Hamilton, chissà se incroceremo le loro strade.